Che una ricetta non sia soltanto un insieme di istruzioni per cucinare gustosi manicaretti, lo sapeva bene anche Franz Kafka, scrittore boemo morto prematuramente all’età di 41 anni. Una “ricetta” è una narrazione (come nel suo racconto Il digiunatore,1922) e, in quanto tale, porta con sé una traccia di chi la racconta. In questo 19 Marzo, festa di tutti i papà, non posso non proporvi la Lettera al padre, di grande tragica sensibilità, che potete interamente leggere gratuitamente nel file pdf allegato, scritta nel 1919.
Kafka aveva un tormentato rapporto con il cibo: si costringeva a rigorosi digiuni per sentirsi più in comunione con la natura, non mangiava carne né beveva alcolici. Quindi fame. Fame è sempre sinonimo di astinenza, privazione. E le privazioni cui Kafka si sottoponeva riflettevano la sua indole malinconica e triste. Lo sappiamo tutti, la recente psicologia ha comprovato che quella tra emozioni e cibo è una relazione bilaterale: quello che mangiamo influisce sul nostro stato d’animo e le emozioni che proviamo influiscono sul nostro modo di mangiare. Quello che Kafka non mangiava si dispiegava in vergogna e senso di colpa, riflettendosi nella relazione con il padre Hermann, consunta da anni di liti, silenzi e incomprensioni. Franz era introverso, introspettivo, immerso nella sua profondità d’animo. A questa timida tenerezza si contrappose un padre-padrone rigido, oppressivo che mise in ridicolo la sua grande passione per la letteratura. Un’immagine di terrore e angoscia che Kafka descrive bene nell’incipit della sua lettera:
“Carissimo padre, di recente mi hai domandato perché mai sostengo di aver paura di te. Come al solito, non ho saputo risponderti niente, in parte proprio per la paura che ho di te, in parte perché questa paura si fonda su una quantità tale di dettagli che parlando non saprei coordinarli neppure passabilmente. E se anche tento di risponderti per iscritto, il mio tentativo sarà necessariamente assai incompleto, sia perché anche nello scrivere mi sono d’ostacolo la paura che ho di te e le conseguenze, sia perché la vastità del materiale supera di gran lunga la mia memoria e il mio intelletto”.
Pagine così strazianti che a nulla valsero. La speranza di questo figlio di poter donare una nuova vita a un rapporto così drammatico e conflittuale: la madre Julie, forse consapevole dell’inutilità del gesto del figlio, restituì la lettera, che non fu mai letta, al mittente. Fu pubblicata, postuma, nel 1952, non più documento personale ma parte dell’opera letteraria di uno dei più grandi scrittori della modernità.