Al nostro ritorno è andato da solo in cucina, una decina di minuti dopo è uscito con dei bicchieri e una brocca di punch caldo profumato alla cannella, miele e garofano. L’abbiamo bevuto quasi senza parlare. Il suo sguardo mi ha fatto accavallare le gambe. Theo, ho detto, ti insegno una cosa: il miele non ci va nel punch. Il miele lo si mette nel tè. Nel punch si mette il limone. E perché in questi bicchieri? Questi sono per le bevande fredde. Per il punch abbiamo gli altri, più piccoli. Nulla fa più differenza per te ormai. Una cosa da nulla.
E’ un passo del romanzo Non dire notte di Amoz Oz, scrittore israeliano recentemente scomparso. La mia attenzione è sempre mirata al rapporto che i personaggi hanno con il cibo, quello che per loro possa significare. Il cibo, in questo caso la bevanda, il punch, diventa mezzo di seduzione, mai disgiunto dalla sensualità, come si legge in questo passo. Ma è una seduzione che non funziona e che sottolinea l’incomunicabilità di questa coppia in crisi.
Sullo sfondo il deserto, luogo dell’anima metaforicamente inteso, scalda i confini senza limiti dei sentimenti umani. Una cittadina israeliana Tel Kedar, piegata dal vento del deserto del Negev che manda sferzate di polvere, accompagna la vicenda umana e sentimentale dei due protagonisti del romanzo: Noa e Theo. Il loro rapporto, dopo 7 anni di convivenza, comincia a mostrare segni di incomprensioni e insofferenze. Theo è un sessantenne, architetto di fama riconosciuta, vive in uno stato di attesa, ha ormai fatto quel che poteva fare, ora che si trova alla fine del mondo; Noa, professoressa di lettere in un liceo, più giovane di 15 anni, al contrario, è piena di entusiasmo e voglia di cambiamenti. La storia si snoda attraverso il racconto dei due protagonisti, in prima persona, lui osserva e ascolta lei, lei che guarda e giudica lui; è un rimando di pensieri e azioni che s’incrociano e si allontanano. Lei frenetica, rincorre il tempo, il suo daffare va tutto a spese della solitudine e della lenta discesa dal dolore verso la tristezza di lui. Al fondo, come in altri suoi lavori, si insinua il dubbio che ciascun individuo sia una singolarità difficilmente conoscibile da un altro, ognuno con le proprie illusioni e i propri disinganni. Il paesaggio desertico delimita e scansione il ritmo della vita degli abitanti di Tel Kedar: il vento che alita come una falciata fredda e acuta, l’aggressività della luce e della polvere, la calce bianca che assorbe le sfumature del deserto, gli spazi aperti, strisce di deserto macchiettato.
E’ la scrittura mirabile di Oz, lenta, intima e lieve che solleva la mente in qualche altrove. Nel giorno che muore, si domanda Theo, cosa promette l’ultima luce, che cosa ha in serbo. La notte, ma non il buio. Come il chiaro di luna illumina la notte che cala, così l’incanto della natura illumina i momenti bui del vivere. Non dire notte.